Città assediate, così Irma Hibert sopravvisse nella sua Sarajevo

Quello di Sarajevo fu l'assedio di città più lungo nella storia bellica del XX secolo. Tutto cominciò nella primavera del 1992, sotto il fuoco serbo. Quattro anni dopo si contavano circa 12 mila morti, oltre 50 mila feriti, tra i quali il 90% erano civili, il 92% degli edifici era distrutto. La media era stata di 300 esplosioni al giorno con un massimo di 4 mila bombe il 22 luglio 1993.

Dati, cifre, ricordi che si intrecciano nelle pagine di un libro dove tutto questo viene raccontato dal punto di vista di chi allora era una ragazzina di poco più di 10 anni. La storia di Sarajevo è la storia di tutte le città che vengono prese d'assalto, minacciate, bombardate e dove la popolazione si rifugia negli scantinati, sotto terra, in condizioni estreme di sopravvivenza e comincia ad aspettare il tempo in cui il supplizio, abbattutosi sugli innocenti, sarà finito.

Irma Hibert, nata nel 1980 a Sarajevo, ha presentato il suo libro autobiografico “La sopravvissuta” (Battello stampatore) a Villa Zamparo, a Basiliano, per gli incontri di “Aspettando... La Notte dei lettori”, accolta dall'assessore Mara Mattiussi, dal presidente del Sistema bibliotecario, Paolo Montoneri, e da Martina Delpiccolo, direttrice artistica del festival, che nel saluto ha indicato la straordinarietà di una testimonianza così diretta, esplicita, forte, in particolare in momenti come gli attuali, mentre l'Europa vive altre ore tragiche. Dialogando con Maria Grazia Pluchino, che ha letto alcuni brani del libro, Irma Hibert ha spiegato: “Ho deciso di scrivere solo adesso, a quasi trent'anni dalla guerra in Bosnia, perché, a caldo, avrei fatto un libro pieno di rancore, di dolore. Il tempo ha messo le cose nella giusta prospettiva. Ho potuto guardarmi dentro, dopo la nuova vita cominciata a Trieste dove mi ero rifugiata, dopo il matrimonio, la nascita di due figli, la laurea, l'insegnamento adesso in un liceo classico... Dovevo fare i conti con incubi, paure, alla luce di quanto mi era successo. E la guerra in qualche modo è sempre ancora lì, tra ricordi che riaffiorano sempre. Basta un temporale, un fulmine, un boato e tutto riappare... Come sta succedendo adesso in Ucraina e penso a quante Irme vivono la mia stessa esperienza in questi mesi. I bombardamenti, la vita dentro gli scantinati, la mancanza di tutto, la fuga... Da noi accadde all'improvviso dopo che nell'autunno del 1991 la Repubblica di Bosnia aveva proclamato l'indipendenza. L'equilibrio che Tito aveva garantito all'ex Jugoslavia, e che era durato per un decennio dopo la sua morte,  si spezzò. Ciò che prima riusciva a coesistere, a convivere, si divise nella tragedia, nei conflitti scoppiati lungo i Balcani. Nessuno prima dava importanza al fatto che uno fosse serbo, uno bosniaco, uno cristiano, uno musulmano... Eravamo cresciuti nel rispetto delle regole e dell'altro.  Invece tutto cambiò”.

Irma Hibert nel libro racconta quando e come decise di lasciare Sarajevo e come arrivò infine a Trieste, dove iniziò, pur tra tante difficoltà, la sua nuova esistenza. Una chiave di salvezza venne sempre rappresentata dai libri, dalle letture, dallo studio (“Per me leggere divenne una ragione di vita, di resistenza. Di fiducia verso quanto mi aspettava”).

L'autrice ha donato infine al pubblico un pensiero: “L'assedio durò a lungo perché la Bosnia non ebbe aiuti. Venimmo abbandonati a noi stessi. Quella terra non rivestiva alcun interesse economico. Si arrivò al trattato di Dayton solamente dopo la terribile strage di Srebrenica. E si giunse così ad accordi di pace che dopo 30 anni non hanno risolto i problemi. La convivenza è ancora difficile, la Serbia non ha rinunciato alle sue mire, la situazione è pericolosa. Lì si vive con il fiato sospeso. Quando ci torno non riconosco più la mia Sarajevo. E non è solo una questione di edifici ricostruiti”.