La musica e la resa dei conti. E il festival riparte da Paolo Maurensig

“Ora  non mi resta che mettermi in paziente attesa dell'oblio. Se mai oblio ci sarà”. Sono le ultime commoventi parole scritte da Paolo Maurensig, quelle che chiudono “Il quartetto Razumovsky”, il romanzo postumo pubblicato da Einaudi nel gennaio del 2022, e che rappresentano quasi una sorta di testamento letterario lasciatoci dal grande scrittore di origine goriziana, morto a Udine nel maggio del 2021.

A lui era stata dedicata “La Notte dei lettori” svoltasi nel 2021 e con lui è ricominciata quella del 2022, in un incontro nella Biblioteca Joppi di Udine che ha voluto idealmente e simbolicamente, in una anticipazione, tornare a leggere pagine di intenso significato, che valgono sempre e nel cui sfondo si intravvedono i tanti fantasmi incombenti sull'Europa e sul mondo di oggi. Maurensig si è interrogato moltissimo, sempre, su tematiche ridiventate adesso di angosciosa attualità. Aprendo l'incontro alla Joppi, Martina Delpiccolo, direttrice artistica del festival, ha ricordato che fin da “La variante di Luneburg” e da “Canone inverso”, i clamorosi romanzi iniziali che dagli anni Novanta hanno dato avvio alla sua notorietà, Maurensig ha raccontato i misteri della vita attraverso le metafore della scacchiera (“Dove nessuno è mai innocente”) e della musica, quale terreno di relazione, incontro, amore, odio, conoscenza reciproca, sia con il legame stretto tra chi suona e il suo strumento sia tra i componenti di un gruppo, come accade nel quartetto Razumovsky.

Le metafore degli scacchi e della musica sono dunque scenari costantemente presenti nell'opera di Maurensig e il suo romanzo postumo ci ritorna con potenza, quasi a chiudere un cerchio, a lanciare un messaggio estremo. Le parole di Martina Delpiccolo hanno dialogato proprio con la musica interpretata al violoncello (lo strumento prediletto da Maurensig) da Riccardo Pes, che ha eseguito brani di particolare significato, come la colonna sonora del film “Canone inverso” e l'adagio mesto di Beethoven ripetutamente eseguito dai protagonisti del Razumovsky, fino a concludere con un pezzo emblematico, visto il contesto nel quale il romanzo conduce, partendo dal nazismo, e dalle sue tremende eredità, fino ai tempi contemporanei, ovvero una delle composizioni più note del francese Olivier Messiaen che nel 1940, dopo l'invasione tedesca, venne rinchiuso in un campo di lavoro e lì, trovando casualmente fra i suoi compagni di prigionia tre musicisti, creò, col beneplacito del responsabile del campo appassionato di musica, una delle sue opere più note, il “Quator pour la fin du temp”, il “Quartetto per la fine del tempo”, la cui prima venne eseguita il 15 gennaio 1941 davanti a circa quattrocento fra prigionieri e guardie. Ed è stato emozionante riascoltarla a Udine, tra le pagine di Maurensig dove il grande tema è il male, narrato attraverso personaggi che immersi nella musica avvertono dentro di sé due elementi fondamentali come l'attrazione e la repulsione, ovvero ciò che sta all'origine del tutto. Nel bianco e nel nero della scacchiera, come scrive Maurensig, si gioca alla fine sempre la stessa partita, ma nell'aldilà cosa accadrà?